E assolutamente in silenzio, iniziò a piangere in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri fino all’orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.
(A. Baricco)
Non so che titolo dare a questo post. Malinconia. Nostalgia. Voglia di portare i miei con me.
Fa caldo, qui. Fa caldo e io sono triste. Ho fatto la valigia, per il solito vecchio discorso dei pezzi delle anime che si acchiappano meglio di notte. Ho sentito mamma piangere. Pensavo ridesse e invece forse no, forse piangeva davvero. Un singhiozzo e poi passa tutto. E niente brucia come riconoscere il tuo stesso dolore addosso a qualcuno che ami.
Da bambina adoravo i treni. E ancora adesso se ne vedo io sogno sui passeggeri, sui viaggi, sulla gente. Ma dentro dentro li detesto. Perchè mi portano via anche quando ritorno.
La mia nostalgia è fatta da costellazioni di nostalgia, anche nelle piccole cose. Il giorno dopo un concerto, ad esempio, lo passo ad ascoltare le loro canzoni, a vedere i loro video. Ad alimentare il dolore dell’assenza.
a generare qualcosa di infinitamente più grande delle due ore stesse del concerto. Vivo in un costante dolore del ritorno.
Presto arriverà l'autunno. Finirò gli esami e mi troverò a indossare montgomery e stivali quando fino al giorno prima indossavo una t-shirt. A ottobre nessuno ha fretta e il buio e le strade vuote arrivano al momento giusto. Se le strade son piene fino a tardi non ha senso guardar fuori per riempirle con quello che hai in testa…
Mi mancherà tutto, qui. Tutto. Anche le estati peggiori lasciano sempre addosso una strana forma di solitudine.
Un giorno, se avrò tanti soldi, porterò tutti con me. Tutti a Firenze.
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